Esercizio #10: ogni figlio è speciale
Ogni figlio è speciale e ogni figlio ha bisogni speciali. Ognuno vede in modo unico. Tenete un’immagine di ciascun figlio nel vostro cuore. Annegate nel suo essere, augurandogli ogni bene.
Il decimo esercizio di “Benedetti genitori” è molto potente nella sua semplicità.
Potete avere un solo figlio. O due o tre. Potete essere genitori da tanto o da pochi giorni.
Ma ogni figlio è un figlio unico per la sua mamma e il suo papà.
Ogni figlio è diverso da un altro.
Se avete fatto in un certo modo con un figlio, non c’è alcuna garanzia che con un altro figlio la stessa cosa funzioni.
Alcune caratteristiche che rendono unico vostro figlio a volte possono essere faticose. Alcuni figli vi possono sembrare più faticosi di altri.
Spesso alcune caratteristiche del loro temperamento si scontrano con le nostre. Oppure potreste accorgervi che vi infastidiscono quegli aspetti del temperamento dei vostri figli che riconoscete anche in voi e già in voi non apprezzate … E’ importante conoscere le nostre caratteristiche e quelle dei nostri figli, di come “danzano” tra loro, perché ci aiuta ad affrontare le situazioni con consapevolezza.
Ognuno dei nostri figli è un fiore raro e stupendo, anche quello che ci ha fatto arrabbiare cinque minuti fa!
Ognuno ha le sue caratteristiche speciali.
E’ importante saper voler bene ai nostri figli per quello che sono, mettere tutta la nostra attenzione per saper cogliere la loro peculiarità e valorizzare le loro qualità uniche.
Quando non succede, i bambini soffrono. Quando succede è magico e i bimbi fioriscono.
Nessun bambino si dovrebbe sentire “troppo” (troppo vivace, troppo chiassoso, troppo sensibile… ) o ” troppo poco” (poco socievole, poco attento, poco sportivo …)
Siamo genitori di un bambino timido: cosa facciamo? Gli diciamo che non deve essere così? Cosa gli diciamo che deve essere? Abbiamo un’altra caratteristica migliore per lui da proporre? Possiamo vedere l’essere”timidi” non un non-carattere, ma una caratteristica? Siamo sicuri che la riservatezza non sia una qualità?
Abbiamo un figlio “polemico”: soffochiamo il senso critico e il pensiero divergente? Gli chiediamo di non essere se stesso perché è faticoso da gestire?
Diciamo ad un altro bambino che è troppo rigido verso le regole, oppure proviamo a fare lo sforzo di valorizzare questi suoi presunti “difetti”?
Si può forse dire che è più facile avere un bambino che non ha una qualità spiccata, che a volte può sembrare quasi un difetto. E’ una bella responsabilità per i genitori, perchè davvero va indirizzato al meglio tutto questo potenziale. Ma non soppresso.
Ogni figlio ha le sue qualità, che noi dobbiamo cercare, ri-conoscere, valorizzare e amare profondamente.
Ci sono qualità più “sociali”, che ci fanno fare bella figura in pubblico, che risaltano di più, che vanno a gonfiare il nostro orgoglio di genitori.
Il mio desiderio, in alcuni momenti in cui sono una mamma “ristretta”, è avere figli “tranquilli e ubbidienti”. Poi ritorno in me e spero vivamente che quando avranno 40 anni non siano “tranquilli e ubbidienti”.
Guardiamo i nostri figli uno per uno, perché ognuno di loro è unico: non siamo artefici dei loro “successi”, quindi nemmeno siamo responsabili di tutte le difficoltà che incontrano e incontreranno. Forse dobbiamo “solo” camminare di fianco a loro e accompagnarli in modo “sufficientemente buono” ad essere ciò che sono … e amarli perché sono esattamente come sono.
Esercizio #1
Esercizio #2
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Esercizio #9
Esercizio #9: chiedere scusa
Chiedete scusa a vostro figlio quando vi accorgete di aver tradito la sua fiducia, anche in modi apparentemente insignificanti. Le scuse sono riparatrici. Una scusa dimostra che avete ripensato ad una situazione e siete arrivati a vederla più chiaramente o a considerarla dal punto di vista di vostro figlio.
Ma dobbiamo stare attenti a non essere “spiacenti” troppo spesso. Questa parola perde il suo significato se ne abusiamo e se facciamo del rimorso un’abitudine. A quel punto può diventare una maniera per non assumersi le proprie responsabilità. Siate coscienti di questo. Cuocere nel proprio rimorso di tanto in tanto è una buona meditazione. Non spegnete il gas finché la cena non è pronta.
L’esercizio #9 per essere genitori consapevoli, che troviamo nel libro “Benedetti genitori; guida alla crescita interiore del genitore consapevole”, affonta il tema del chiedere scusa.
Ai genitori capita di perdere la pazienza. Non è mai un bel momento o qualcosa di cui poi andiamo fieri. Però, per quanto cerchiamo di essere genitori attenti e consapevoli, succede che i comportamenti “automatici” prendano il sopravvento.
In questi casi i nostri figli a volte hanno bisogno di sentirci dire che siamo dispiaciuti, che abbiamo sbagliato in quella situazione.
Può succedere che chiedere scusa però sia troppo semplice o avvenga troppo di frequente.
A volte più che dire “scusa”, è importante iniziare a lavorare per “riparare” la relazione: riconoscere dentro di noi cosa è successo e ripartire con l’intenzione di essere consapevoli.
“Ripoviamoci”: ripartiamo e ricostruiamo un clima di fiducia reciproco.
Soprattutto se la situazione che ci fa scattare un comportamento di re-azione si ripete spesso, è importante trovare il modo di fermarsi un momento nel mezzo della tempesta e acquisire consapevolezza di quello che sta accadendo. Non è necessario risolvere subito il problema: domandiamoci invece se è possibile attendere che le acque si calmino per evitare di re-agire con rabbia incontrollata.
Abbiamo perso la pazienza con nostro figlio o nostra figlia. Quando siamo più tranquilli, possiamo provare a chiederci: “Cosa avrei potuto fare di diverso?”
Se i nostri figli sono abbastanza grandi, può essere utile parlarne, non per dare la colpa a noi stessi o a loro, ma per dirci come ci siamo sentiti, escogitare strategie più adeguate per esprimere le nostre emozioni, trovare un modo – una sorta di segnale - per “avvertirci” reciprocamente che stiamo perdendo la pazienza.
Non amo chi non chiede mai scusa e chi chiede scusa troppo spesso.
Non trovo nemmeno che abbia un valore educativo pretendere che un bambino che si è comportato male chieda scusa.
Le scuse nascono da un sentimento vero e profondo maturato dentro, che non possiamo indurre forzatamente.
Un bambino piccolo non capisce fino in fondo il significato della parola “scusa”, ma presto imparerà a considerarlo un “lasciapassare”: “Ma io ho chiesto scusa!”.
Inoltre invitare a chiedere scusa appena è successo il fatto, è come comunicare che le emozioni che il bambino sta provando non sono importanti: “Non mi interessa nulla del fatto che sei arrabbiato, triste, deluso … devi riparare la situazione!”.
Pensate a voi stessi: quando siete infuriati, nel bel mezzo della bufera, avete voglia di chiedere scusa?
State litigando con un vostro collega e sopraggiunge il vostro capo che vi dice: “Su dai ora chiedetevi scusa ed è tutto finito”
Chairamente difficilmente ad un adulto succederà di trovarsi in una situazioane del genere, ma , se ci pensiamo bene, ai bambini capita spesso.
Chiedere scusa è il traguardo di un cammino di consapevolezza: io sono capace di sentire le mie emozioni e quelle dell’altro, riesco a vedere i miei bisogni in una situazione e contemporaneamente il punto di vista e i bisogni dell’altro, sono in grado di percepire e capire le conseguenze che hanno avuto le mie azioni o le mie parole.
Il desiderio di chiedere scusa e “riparare” nasce da sincero pentimento.
I nostri figli imparano tutto questo soprattutto dal nostro esempio : se siamo consapevoli di ciò che accade, capaci di dispiacerci sinceramente e “riparare” con attenzione la relazione con loro, impareranno da noi a chiedere scusa quando è necessario, a dire parole o compiere gesti che guariscono le relazioni. Senza che li costringiamo a dire la parola magica “scusa”.
Se vi siete persi gli esercizi precedenti:
Esercizio #1
Esercizio #2
Esercizio #3
Esercizio #4
Esercizio #5
Esercizio #6
Esercizio #7
Esercizio #8
Esercizio #8: equilibrio
L’esercizio otto tratto da “Benedetti genitori” ci invita ad allenarci ad essere in equilibrio, a restare nelle situazioni, riconoscendo e accogliendo le nostre emozioni senza cercare di cambiarle.
Imparate a vivere con tensione senza perdere l’equilibrio. Nel libro “Lo zen e il tiro con l’arco” Herrigel descrive come gli fu insegnato a restare immobile senza sforzo nel punto di massima tensione dell’arco, senza scoccare la freccia. Nel momento giusto, misteriosamente la freccia parte da sola.
Fate questo esercizio cercando di muovervi in ogni momento senza tentare di cambiare niente e senza dover ottenere un particolare risultato. Semplicemente richiamate la vostra piena consapevolezza e presenza in questo momento. Esercitatevi a vedere qualunque cosa accada come “praticabile”, disposti a restare nel momento presente, affidandovi al vostro intuito e ai vostri migliori istinti.
Vostro figlio, specialmente quando è piccolo, ha bisogno che voi siate il suo centro di equilibrio e di fiducia, un punto di riferimento affidabile con cui può trovare l’orientamento all’interno del suo paesaggio. La freccia e il bersaglio hanno bisogno uno dell’altra. Non serve forzare. Si troveranno l’un l’altra grazie alla saggia attenzione e pazienza.
L’equilibrio è una questione assolutamente personale, è diverso da persona a persona, non è dato una volta per tutte ma è frutto di costanti regolazioni, effettuate momento per momento, a seconda della situazione e del figlio che abbiamo davanti.
Inutile definire a priori cosa è equilibrio: bisogna crearlo attimo per attimo.
Come genitori siamo sempre alla ricerca di equilibrio.
Più i figli sono piccoli, più il loro equilibrio dipende da noi. Quando un neonato piange, noi cerchiamo di ristabilire il suo equilibrio dandogli da mangiare se ha fame, cambiandolo se è sporco, coprendolo se ha freddo.
Quando i figli crescono, guardando alle loro attività quotidiane, ci chiediamo se c’è equilibrio tra attività e momenti liberi, se c’è equilibrio in ciò che mangiano, nel loro sonno, tra quanto stanno in casa e quanto stanno fuori …
Qualche giorno fa mio figlio maggiore, in vacanza, dopo diverse giornate scandite da ritmi regolari e rallentati, mi ha confidato: “Che bello avere una vita regolare!”. I bambini amano le routine, amano avere dei ritmi quotidiani, dei rituali che li accompagnino per andare a scuola, per dormire … Hanno biogno di tempo congruo per fare le attività della vita quotidiana (vestirsi, mangiare, …) e di adeguati tempi di recupero tra un’attività e l’altra.
E’ compito di noi genitori assicurare che abbiano una giornata equilibrata.
Mia figlia più piccola spesso prima di addormentarsi mi chiama e mi dice: “Non riesco a calmarmi”: è il suo modo per dire che è stanca ma ancora troppo agitata per dormire. Allora un piccolo gioco di rilassamento, un massaggio, una storia l’aiutano a riequilibrarsi e l’accompagnano nel sonno.
Un bagno caldo, un gioco tranquillo, una coccola: sono tutti modi per aiutare i nostri figli a ritrovare equilibrio. A volte uscire di casa, correre, fa liberare energie e riacquistare equilibrio.
Quando i figli crescono vanno incoraggiati a cercare da soli il loro equilibrio usando la loro creatività, sostenendo le loro risorse interne.
“Possiamo rendere la nostra mente
Immobile come l’acqua
Chè gli esseri si radunino attorno a noi
Chè possano vedere forse le loro stesse immagini …”
(Fonte ignota, attribuita a W.B. Yaets)
Essere immobili e pazienti, in equilibrio, ci rende uno specchio in cui i nostri figli possono vedere la loro immagine nitida.
Abbiamo già commentato i primi sette dei “Dodici esercizi per diventare genitori consapevoli”, li potete trovare qui:
Esercizio #1
Esercizio #2
Esercizio #3
Esercizio #4
Esercizio #5
Esercizio #6
Esercizio #7
Esercizio #7: ascolta
Ed eccoci al settimo esercizio che i coniugi Myla e John Kabat-Zinn nel loro libro “Benedetti genitori; guida alla crescita interiore del genitore consapevole” – Edizioni Corbaccio.
Cercate di incarnare una presenza silenziosa. Essa nel tempo si trasformerà in una pratica consapevolezza, a patto che siate attenti a ciò che portate in voi e a ciò che proiettate nel vostro corpo, mente e parola.
Ascoltate attentamente.
La parte preponderante della comunicazione è l’ascolto. Si è dei buoni comunicatori se si è in grado di ascoltare.
Un proverbio di un anonimo ci ricorda che abbiamo in dotazione due orecchie e una sola bocca: forse perché dobbiamo ascoltare il doppio di quanto parliamo? Forse perché ascoltare richiede uno sforzo doppio rispetto a parlare?
Mentre mio figlio sta guardando il suo programma preferito in tv, difficilmente mi ascolterà. Mentre leggo le mie mail, difficilmente riesco ad ascoltare cosa mi sta dicendo mio figlio.
Ascoltare non significa semplicemente stare in silenzio.
Significa prestare attenzione alle parole. Esserci per l’altro. Significa sintonizzarsi sullo stato emotivo dell’altro.
Cosa prova? Che emozione mi comunica?
Ascoltare l’altro è un’esperienza di ascolto di noi stessi e delle emozioni che risuonano in noi.
Per riuscire ad ascoltare gli altri, e in particolare i nostri figli, è necessario che impariamo prima di tutto a stare immobili dentro di noi e a sentire il nostro corpo e le emozioni che ci comunica.
I coniugi Kabat-Zinn ci suggeriscono che la consapevolezza del respiro è una modalità semplice e alla portata di tutti (tutti respiriamo e sempre!) per ancorarsi al momento presente nella quotidianità.
Il respiro è sempre presente, è connesso alla nostra vita, al nostro corpo, alle nostre emozioni: prestare attenzione al nostro respiro durante i piccoli gesti della vita quotidiana ci riporta con immediatezza al momento presente, al qui e ora.
Ma oltre a questa “attenzione informale”, è utile ritagliarsi dei momenti di solitudine, un tempo per noi stessi. Non servono ore e ore, materassi morbidi e luci soffuse: bastano anche due minuti di silenzio ma saranno due minuti nutrienti per il nostro corpo, la nostra mente e il nostro spirito.
Oggi proviamo a fare silenzio ed ascoltare … ed ascoltarci.
Qui potete trovare gli esercizi precedenti:
Esercizio #1
Esercizio #2
Esercizio #3
Esercizio #4
Esercizio #5
Esercizio #6
Esercizio #6: quando ci sentiamo persi
Quando vi sentite perduti, o in scacco, ricordatevi di restare immobili, come invita a fare la poesia di David Wagoner Lost: “La foresta respira …” Ascoltate che cosa dice: ” La foresta sa dove sei. Devi lasciare che ti trovi”. Meditate su tutto ciò, portando piena attenzione alla situazione, a vostro figlio, a voi stessi, alla famiglia. Nel fare questo, potreste andare oltre al pensiero e percepire intuitivamente, con tutto il vostro essere (sentimenti, intuizione, corpo, mente e anima), che cosa è veramente necessario fare. Se questo non è sempre chiaro, allora la cosa migliore è non fare nulla finché le cose non si chiariscono. A volte rimanere in silenzio fa bene.
Ogni volta che mi trovo con i miei figli in un luogo molto affollato (supermercato, fiera, parco giochi, spiaggia …), ricordo loro una semplice regola: se per qualsiasi motivo doveste perdervi, non trovate più la mamma o il papà, in quel preciso istante in cui vi accorgete che non ci trovate più, anche se vi sentite preoccupati o spaventati, fermatevi e sedetevi per terra dove siete. Non muovetevi, non cercateci. Mamma o papà vi cercheranno e vi troveranno loro.
Perché questa strategia? Un bambino che si è perso, che si accorge di non essere più con i suoi genitori, di solito è spaventato e confuso e inizia a girare per cercarli. Per il panico perde punti di riferimento e si muove nello spazio in modo irrazionale. Nel frattempo il genitore lo cerca, di solito tornando sui suoi passi. Ma il bambino, confuso, si sarà allontanato dal percorso fatto insieme e spesso anche di molto.
“Mi siedo per terra e aspetto che mi trovi la mamma”: se ricorda di sedersi a terra, quindi di stare fermo, ancorato, sarà più facile per il genitore scandagliare lo spazio alla sua ricerca e ritrovarlo.
Quando noi ci sentiamo persi nella vita, privi di punti di riferimento e non sappiamo più dove siamo e dove dobbiamo andare, quando non ci è chiaro in che direzione stiamo andando come genitori, dovremmo ricordare di stare fermi e prestare attenzione.
Siamo dove siamo.
E se stiamo in silenzio e osserviamo, incominceremo a mettere a fuoco i particolari e individuare ciò che è essenziale.
Come nella foresta essun albero è uguale a un altro, nessun momento è uguale a un altro.
Se avremo la forza di stare fermi qui e adesso e prestare attenzione, “solo allora sapremo dove mettere il piede quando verrà il tempo di muoverci”.
Esercizio #1
Esercizio #2
Esercizio #3
Esercizio #4
Esercizio #5
Esercizio #5: i bisogni dei nostri figli
Figli e genitori hanno dei bisogni. A volte nella stessa situazione hanno bisogni molto diversi.
Quindi capita spesso che questi bisogni entrino in conflitto tra loro.
Nell’esercizio di oggi, ci viene chiesto di portare a consapevolezza i bisogni dei nostri figli e i nostri.
Ci viene anche chiesto di usare tutta la nostra creatività per fare in modo che i bisogni di entrambi siano soddisfatti e che tutti “vincano” all’interno della relazione.
A volte siamo così stanchi o così indaffarati che la risposta automatica a qualsiasi richiesta è “No!”. Oppure “Dopo vediamo”, che diventa sì o no per esasperazione.
Ma fermiamoci un attimo a riflettere: perché no? Il “no” può diventare un “sì”?
Ecco il quinto esercizio per diventare genitori consapevoli suggerito dal libro “Benedetti genitori; guida alla crescita interiore del genitore consapevole”:
Praticate l’altruismo anteponendo i bisogni dei vostri figli ai vostri ogni volta che sia possibile. Poi vedete se c’è un terreno comune, in cui anche i vostri bisogni possono essere soddisfatti. Potete restare sorpresi da quante coincidenze siano possibili, specialmente se siete pazienti e desiderosi di trovare un equilibrio.
Un bambino di solito esprime i suoi bisogni che, a volte, non collimano coi nostri e allora li chiamiamo capricci.
Come tutti, anche i bambini hanno dei bisogni e agiscono in modo che tali bisogni vengano soddisfatti. Se i “capricci” sono tanti il bambino ci sta chiaramente facendo capire che non riceve risposte adeguate alle sue richieste, quindi noi dovremmo un po’ fermarci a riflettere e domandarci cosa non stiamo capendo in questo momento e in questa situazione.
Attenzione: questo ovviamente non significa che allora mi va bene tutto e che accetto qualsiasi cosa faccia mio figlio. Anzi. Sia molto chiaro (anche a loro) che anche io ho dei bisogni, di cui è meglio che loro siano consapevoli.
Se penso: “mio figlio è cattivo, si comporta male, fa tanti capricci”, “lo fa apposta per infastidirmi” “vedi che me lo chiede proprio adesso che sono esausto” cado in un ‘trappolone’ da cui difficilmente esco.
La psicoterapeuta Isabelle Fillozat in suo testo fa un paragone che mi ha sempre fatto sorridere e riflettere: molti di noi hanno delle piante in casa. Quando le foglie delle nostre piante ingialliscono o cadono, noi non pensiamo che la pianta ce l’abbia con noi oppure faccia così per farci fare una figuraccia davanti a tutti e farci passare come negate per il giardinaggio. Di solito cerchiamo la causa: le avrò dato troppa acqua? Non riceverà abbastanza luce? Ha un vaso troppo piccolo?
Ecco un bambino è decisamente più complesso di una pianta ma manifesta i suoi bisogni in modo analogo.
Proviamo a guardare gli atteggiamenti dei nostri figli non come a una provocazione, ma come a una manifestazione. Non sentite che già cambia il vostro stato d’animo?
A volte poi, chiamiamo problemi e capricci, quelli che invece sono fatti assolutamente naturali: come in autunno le foglie ingialliscono così un bambino di due anni dice “no” con una frequenza maggiore di ogni altra parola, un bimbo di quattro odia perdere, un adolescente contesta per il gusto di contestare.
Se guardo dal punto di vista del bambino, posso essere consapevole del fatto che sta provando a soddisfare da solo un suo bisogno.
E a volte mi si “attiva un neurone” e trovo soluzioni inaspettate e creative per soddisfare la sua richiesta di quel momento, senza calpestare i miei bisogni, oppure mettendoli consapevolmente da parte in quel momento per un “bene maggiore”.
Io sono l’adulto e loro i bambini, quindi tendenzialmente io devo capire il loro punto di vista, non loro il mio.
Ovvio che anche io ho dei bisogni che loro devono imparare ragionevolmente a rispettare. Un modo attraverso cui lo imparano è il nostro esempio, come noi rispettiamo i loro bisogni senza annullare i nostri.
Capire che abbiamo bisogni interdipendenti si chiama crescere.
Se te li sei persi, puoi trovare di seguito i link agli esercizi precedenti:
Esercizio #4 per essere genitori consapevoli
Oggi nel nostro percorso per allenarci ad essere genitori consapevoli, ci prendiamo un momento per riflettere sulle nostre aspettative:
Siate consapevoli delle vostre aspettative sui figli e considerate se sono davvero rivolte nel loro interesse. Inoltre, siate coscienti di come comunicate queste aspettative e di come esse influenzano i vostri figli.
Ognuno di noi ha delle aspettative su molteplici eventi o persone.
Abbiamo potentissime aspettive su noi stessi.
Figuriamoci se non abbiamo aspettative sui nostri figli!
Prima ancora che nostro figlio/a nasca ci “aspettiamo” che sia maschio o femmina, ma soprattutto ci aspettiamo che stia bene. Poi iniziamo ad aspettarci che dorma o che mangi, che cresca con un certo ritmo (maledetti percentili!). Che si comporti in un certo modo al supermercato e al ristorante oppure quando lo inseriamo a scuola. Che non sia aggressivo e che non si faccia mettere i piedi in testa. Abbiamo aspettative sul rendimento scolastico dei nostri figli, a volte anche sull’attività sportiva.
E’ impossibile non avere aspettive.
L’importante è essere consapevoli delle aspettative che abbiamo e delle conseguenze che possono avere su nosro figlio e sulla sua relazione con noi.
Come genitori dovremmo coltivare aspettative che facciano crescere i nostri figli, promuovano il loro ben-essere, rispettino la loro sovranità, riconoscano e facciano emergere la loro unicità.
Non è facile: spesso vogliamo per i nostri figli quello che noi non abbiamo realizzato, oppure ci aspettiamo che seguano un percorso simile al nostro. Possiamo aspettarci cose diverse da figli diversi, di età, sesso e temperamento differente.
Quando siamo consapevoli delle nostre aspettatitive possiamo esaminarle e comunicarle chiaramente a chi ci sta vicino, esplicitando ciò che desideriamo, ciò che preferiamo che non accada e ciò che per noi è davvero inacettabile.
Quando non ne siamo consapevoli, comunque le aspettative ci sono e guidano il nostro pensiero e il nostro agire.
Ecco alcune domande che ci suggeriscono gli autori di “Benedetti genitori” che ci possono guidare sulla strada della consapevolezza delle nostre aspettative:
Le mie aspettative sono adeguate all’età di mio figlio?
Lo aiutano a crescere?
Gli fanno sentire che vale, o lo sottopongono a inutili pressioni e insuccessi?
Mi aspetto troppo da mio figlio? Oppure al contrario mi aspetto troppo poco?
Ho aspettative troppo rigide che non permettono a mio figlio di esprimere veramente se stesso?
Gli esercizi che abbiamo fatto insieme nei giorni scorsi sono una base da cui partire: se riusciamo a vedere le cose dal punto di vista dei nostri figli e rispettare e onorare la loro esssenza più vera, li incoraggeremo a formarsi delle proprie sane aspettative su se stessi, a formulare desideri che li nutriranno e faranno crescere.
Essere consapevoli significa quindi abbandonare l’idea di “come dovrebbe essere” quel bambino, per aprirsi a “come è” in questo momento, qui davanti a me, mentre fa questa cosa o dice quest’altra cosa.
I bambini, in genere, fanno i bambini. Noi siamo gli adulti e possiamo, di fronte a qualcosa che ci aspettavamo andasse diversamente, attingere creativamente al nostro repertorio più vario e trovare altre strategie piuttosto che re-agire e arrabbiarci perché ci aspettavamo qualcosa di diverso.
I figli dal canto loro si aspettano che noi li amiamo, li curiamo, li proteggiamo. Non si aspettano di dover soddisfare i nostri bisogni emotivi. Spesso lo faranno spontaneamente, perché ci riempiranno di gioia, gratificazione, amore. Ma la soddisfazione dei nostri bisogni dobbiamo cercarla in noi stessi.
Nessuno ha detto che è semplice fare l’adulto e il genitore.
Però è un compito affascinante e stimolante, soprattutto se non si ha un “copione” rigido.
E fare il genitore – consapevolmente – è un’attività estremamente educativa
Se te li sei persi, puoi trovare di seguito i link agli esercizi precedenti:
Esercizio #3 per essere genitori consapevoli
Siamo già al terzo esercizio suggerito dal testo “Benedetti genitori; guida alla crescita interiore del genitore consapevole” e la nostra “missione” di oggi ha a che fare con la “sovranità”.
Su questo tema gli autori ci propongono una riflessione che prende avvio da una domanda: “Che cosa desidera ogni persona nel profondo del proprio cuore?”
La riposta che ci suggeriscono è che ognuno desidera essere sovrano della propria vita: essere chi è veramente, diventare ciò si può diventare, essere “soggetto” della propria esistenza.
Ed uno dei nostri compiti principali come genitori è riconoscere la sovranità dei nostri figli, ovvero la loro vera, originale, unica e irripetibile natura; onorarla ed aiutarli a diventare ciò che sono, nella loro unicità.
Un neonato che si sveglia tante volte durante la notte quando noi siamo stanchissime, un bimbo di due anni che fa un capriccio epocale nel mezzo del supermercato mentre noi siamo in ritardo e dobbiamo fare la spesa, un bambino della scuola primaria che non ha nessuna voglia di fare i compiti che gli ha assegnato la maestra, un preadolescente … che è preadolescente e vi ricorda solo vagamente il “vostro bambino”.
In questi momenti forse facciamo fatica a vedere gli aspetti positivi. Ma dovremmo fare lo sforzo di ricordarci e fidarci della sovranità dei nostri figli, della loro intrinseca bellezza e bontà proprio quando la vediamo di meno, guardando oltre le apparenze. Per fare questo dobbiamo imparare a fidarci di ciò che sentiamo, lasciare spazio alle emozioni, darci il tempo e il permesso di sentire ciò che accade nel momento presente.
Riconoscere la sovranità dei nostri figli non significa permettergli di essere dei despoti o dei tiranni, consentirgli di fare ciò che vogliono quando lo desiderano: in alcuni momenti onorare l’unicità di un figlio significa proprio stabilire limiti chiari e definiti e farli rispettare con fermezza.
Non esiste una ricetta per riconoscere e onorare la sovranità dei nostri figli ma è il viaggio di una vita. Momento per momento, figli diversi, con temperamenti diversi, in età differenti e fasi di sviluppo diverse ci faranno fare scelte diverse per rispettare la loro essenziale unicità.
E richiede una certa dimestichezza nel sentire e essere in contatto con la nostra vera, unica e più profonda unicità.
Ecco quindi l’esercizio per oggi:
“Esercitatevi a considerare i vostri figli perfetti così come sono. Vedete se riuscite a restare consapevoli della loro sovranità attimo dopo attimo e a lavorare per accettarli come sono quando è più difficile per voi farlo.”
Spesso siamo convinti che accettando l’altro così come è non cambierà mai. Anzi, specialmente se è nostro figlio, crediamo che sia nostro dovere ricordargli cosa non va, sottolineare cosa può essere fatto meglio, criticare, consigliare ed elargire giudizi a piene mani . Ma pensiamo per un momento a noi stessi e alla nostra esperienza. Non c’è nulla di più potente dell’empatia e dell’accettazione per nutrire la nostra autostima e la fiducia in noi stessi, tanto da prendere in considerazione che è possibile cambiare, che siamo in grado di crescere, che possiamo realizzare le nostre potenzialità.
Perché non ci sentiamo minacciati, non sentiamo che ci dobbiamo difendere, ma ci fidiamo.
Perchè non dovrebbe essere così anche per i nostri figli?
Se te li sei persi, puoi trovare di seguito i link agli esercizi precedenti:
Esercizio #2 per essere genitori consapevoli
Ed eccoci con il secondo esercizio proposto dai “nostri” coniugi e John Kabat-Zinn in “Benedetti genitori; guida alla crescita interiore del genitore consapevole”.
“Immaginate come apparite agli occhi di vostro figlio, che ha voi come genitori, in questo momento: questa nuova prospettiva come potrebbe modificare il modo in cui vi muovete nel corpo e nello spazio, il modo di parlare e ciò che dite? Come volete relazionarvi con vostro figlio in questo momento?”
Ieri con il primo esercizio, abbiamo cercato di vedere con gli occhi dei nostri figli … oggi continuiamo l’allenamento, focalizzandoci su come vedono noi i nostri figli.
Quando si è figli, di solito si fa l’elenco delle cose che “non farò mai” e di “quelle che non dirò mai” quando diventerò mamma o papà.
Poi improvvisamente un giorno senti la tua voce pronunciare le cose che “non avresti mai voluto dire”: “ci sono bambini che muoiono di fame e tu avanzi il cibo”, “io ti ho fatto io ti disfo”, “non mi interessa chi è stato, in castigo tutti e due!”, “non perché è mio figlio ma è proprio un genio” e altre simili amenità. E scopri, con un po’ di raccapriccio, che sei tu, sì proprio tu e non tua madre/padre a pronunciarle.
Vi ricordardate come vedevate i vostri genitori? Ma i nostri figli come ci vedono?
Vorrebbero essere come noi almeno un po’?
Se potessimo fermare il tempo per un istante e potessimo vedere la scena da spettatori, come in un film, potremmo osservare come ci muoviamo, parliamo, agiamo con i nostri figli … il tono della voce, ciò che diciamo, i nostri gesti come ci apparirebbero?
Se avessimo questa possibilità, continueremmo a parlare e ad agire allo stesso modo o vorremmo cambiare qualcosa?
Ad esempio, mi sono sempre chiesta cosa pensano i bambini piccoli quando gli adulti si rivolgono a loro alterando il tono della voce o usando vezzeggiativi e diminutivi in quantità sconsiderate.
Quando imboccavo i miei figli, immaginavo la scena “dall’altra parte” e trovavo davvero imbarazzante il mio accompagnare ogni boccone con un “ahm” e/o con un movimento apri-chiudi della bocca
Ci sono anni interi in cui molti di noi hanno incarnato il “Signor No”. Nei primi pensierini a scuola potremmo aver scoperto che “la mamma è brava a cucinare”, quando invece non sappiamo cuocere nemmeno un uovo sodo. E ancora ci chiediamo di che mamma stava parlando …
Poi quando i figli crescono un po’, non ti devi più sforzare di immaginare come ti vedono, perché capita che te lo comunichino loro più o meno apertamente. E non sempre è simpatico e piacevole
Qualche giorno fa ero a fare colazione al bar con i miei tre bambini; la cameriera mi chiede: “Ma sono tutti tuoi? Pensavo che i due grandi fossero tuoi fratelli”. Non ho fatto in tempo a iniziare a gongolare un po’, che il Sindacalista ci ha tenuto a precisare: “Mamma, io lo so perché credono tutti che siamo tuoi fratelli: perché sei bassa!”.
E allora pronti con l’esercizio di oggi: come appariamo agli occhi dei nostri figli?
L’immagine che vi rimandano coincide con quella che avete di voi? Vi riconoscete? Ma sopratutto vi piacete?
Raccontatemi cosa avete visto prendendo in prestito gli occhi dei vostri figli per osservare voi stessi!
Se te lo sei perso, puoi trovare di seguito il link all’Esercizio #1
Esercizio #1 per essere genitori consapevoli
Partiamo dal primo degli esercizi che ci propongono i coniugi Myla e John Kabat-Zinn nel loro libro “Benedetti genitori; guida alla crescita interiore del genitore consapevole”.
“Cercate di immaginare il mondo dal punto di vista di vostro figlio, mettendo intenzionalmente da parte il vostro. Fatelo ogni giorno, per qualche istante, per ricordare a voi stessi chi è questo figlio e che cosa affronta nella vita.”
Essere consapevoli, richiede molta attenzione e “allenamento”. Ogni figlio ci dice momento per momento qualcosa di diverso con il suo comportamento e le sue parole.
Proviamo a vedere le cose dal punto di vista dei nostri figli.
Può significare abbassarsi anche fisicamente, può significare innalzarsi fino a loro.
A volte è semplice, a volte è difficilissimo. Più i figli crescono più appare arduo.
Significa in ogni caso considerarli sempre, qualsiasi età abbiano, come persone degne di rispetto.
Empatia vuol dire vedere le cose dal punto di vista dell’altro, sentire come se fossi l’altro. E’ più facile essere empatici di fronte a un bambino gioioso, può essere relativamente semplice essere empatici con un bambino che sta male. E’ più complesso quando il bambino è triste o confuso, arrabbiato o geloso; è difficilissimo quando nostro figlio esprime un punto di vista diverso dal nostro oppure ha un bisogno che è in conflitto con i nostri.
L’empatia è necessaria per lo sviluppo della competenza emotiva del figlio: un bambino che non si vede mai riconosciuto nelle sue emozioni, inizierà a pensare che quelle emozioni non sono “buone” ed eviterà di esprimerle. Forse piano piano cercherà anche di evitare di provarle.
Oggi però non cerchiamo di risolvere “problemi” . Il nostro “compito” è solo di osservare.
Cerchiamo “solo” di vedere le cose dal punto di vista del bambino, o meglio di vedere qual è il bisogno che sta esprimendo ora, che cosa vuole dirmi. Cerchiamo di capire cosa prova, come sta.
Si può partire da un momento particolare o da una mezzora nella giornata scelta a caso.
A volte per capire il punto di vista di nostro figlio occorre tutta la nostra creatività, a volte basta semplicemente chiedere: “Come stai?”
Allora: chi è vostro figlio? Cosa sta affrontando oggi, in questo momento? Come sono le cose dal suo punto di vista oggi?
Buon “lavoro”