Il problema è che io conto. Non nel senso di “io valgo”.
Certo valgo anche io. Cioè immagino di valere.
Maledetta autostima.
Insomma non divaghiamo.
Io conto nel senso di uno, due, tre …
Per la precisione, io conto i bambini.
Ho iniziato quando lavoravo in comunità per minori. Accompagnavo i bambini a scuola e contavo.
Uno, due, tre, quattro. Ci sono tutti. Attraversiamo al semaforo e uno, due, tre, quattro ci sono tutti.
Anzi a pensarci bene ho iniziato prima, quando facevo l’animatrice all’oratorio.
Uno, due, tre … perché in gita a Gardaland non li potevi perdere di vista e dovevi portarli a casa tutti.
Allora a intervalli regolari uno, due, tre … io contavo.
Ora conto i miei figli.
Uno. Due. Tre.
Il problema vero, in realtà, è che li conto anche quando non ci sono.
Salgo dalla metropolitana , Milano è bellissima, persone nei bar per l’aperitivo.
Io sono anche vestita carina, i tacchi e la borsa portata sul braccio.
Sono sola e sto proprio bene.
Ma conto.
Uno: dalla nonna.
Due: dall’altra nonna.
Tre: in piscina con la zia.
Ecco.
Il mio problema è che io conto.
E non sono mai tutta in un posto solo.
Ho sempre pezzetti di testa, cuore e pancia altrove.
“Non si sta più bene né con né senza” mi dicevano di chi aveva figli prima che ne avessi, 17 anni fa.
E io pensavo: “Figuriamoci”.
Io conto: 1, 2, 3, 4
chi c’è in casa?
chi va? chi viene?